Gli anni più belli di Gabriele Muccino, con Pierfrancesco Favino, Micaela Ramazzotti, Kim Rossi Stuart e Claudio Santamaria. Paola Jacobbi su il Venerdì (la Repubblica): «C’era una volta un mondo senza smartphone. Un mondo di attese e patimenti: “Non ha ancora telefonato” o, peggio: “Ha telefonato ma io non ero a casa”. Un mondo in cui se non ti guardavi in faccia, se non ti incontravi, le emozioni non esistevano. C’era una volta un mondo senza treni ad alta velocità, un mondo in cui andare da Roma a Napoli era un viaggio infinito, una fermata sgangherata dopo l’altra. C’era una volta un mondo senza Spotify, un mondo in cui la musica era a 33 e 45 giri. Era il mondo di un attimo fa, di quando chi oggi ha 50 anni era adolescente. Comincia da qui, da alcune istantanee della sua giovinezza, il nuovo film di Gabriele Muccino, nostalgicamente intitolato Gli anni più belli, in sala dal 13 febbraio. Il regista, forte di grandi successi, in particolare l’ultimo, A casa tutti bene (10 milioni d’incasso), ha scritto un’altra storia corale, scelto un cast di vecchie conoscenze (Pierfrancesco Favino, Claudio Santamaria, Nicoletta Romanoff) e new entry di pregio (Micaela Ramazzotti e Kim Rossi Stuart). Gli anni più belli è un excursus dagli anni Ottanta a oggi, è la storia di tre amici e una ragazza, si va dal riflusso al Movimento 5 stelle, dal Tempo delle mele (il film, ma anche il periodo della vita) alla riscoperta dei prodotti a chilometro zero. I personaggi sono interpretati da attori più giovani (e somigliantissimi) nella prima parte, poi dai “titolari” aiutati dalla tecnologia de-aging, un po’ come Al Pacino e Robert De Niro in The Irishman. Liberamente ispirato ad almeno un paio di classici del cinema italiano, Una vita difficile di Dino Risi e soprattutto C’eravamo tanto amati di Ettore Scola, il film non è un remake. “Semmai è un omaggio innamorato: non ho rubato nemmeno una battuta”, dice il regista. In realtà, in principio, avrebbe potuto essere davvero un remake. Una ventina d’anni fa, Gabriele Muccino avrebbe dovuto fare un film con la Miramax di Harvey Weinstein, e a un certo punto gli parlò del film di Scola. L’idea iniziale era un remake americano, con attori americani, con la guerra del Vietnam al posto della Resistenza, poi gli anni Settanta negli Stati Uniti al posto dei Cinquanta in Italia, mantenendo la stessa struttura dell’originale. Weinstein non conosceva il film, ma lo vide e gli piacque moltissimo. Portò Muccino a bordo di un aereo privato da Roma a Parigi per parlare della sceneggiatura. Ma presto si capì che il remake era impossibile per mille motivi, non ultimo il rapporto con le ideologie e la politica, così vitale per i coetanei di Scola ma impossibile da applicare alla generazione di Gabriele Muccino. Com’è la sua generazione? “Io sono nato nel ’67. Noi siamo cresciuti in un’epoca di grande prosperità, fratelli minori di chi aveva ucciso la musica pop, considerata nemica dell’ideologia. Noi la politica l’abbiamo subita, non ne sapevamo niente e pensavamo di essere inferiori rispetto ai ‘grandi’. Abbiamo avuto un senso di frustrazione che ci ha fatto vivere all’ombra di molti dubbi. I personaggi del film sono così: per esempio quello interpretato da Kim Rossi Stuart racconta la storia di molti insegnanti che tutti abbiamo conosciuto, quelli che hanno un’idea nobile del loro mestiere ma sono stati condannati al precariato per anni”» (leggi qui).