Ennio Morricone (1928-2020)

Ennio Morricone (1928-2020). Compositore. Musicista. Direttore d’orchestra. Arrangiatore. Oltre 500 colonne sonore composte. Tra i principali riconoscimenti: un Leone d’oro alla carriera (1995), un premio Oscar onorario (2007) e un premio Oscar alla miglior colonna sonora originale (2016, per The Hateful Eight di Quentin Tarantino). Oltre 70 milioni di copie vendute. «Mi piacerebbe che il pubblico ascoltasse a occhi chiusi. Guardare non serve a niente. Lo dico, ma nessuno mi dà retta».
• Vita Primo di cinque figli, nacque e crebbe a Roma, nel quartiere di Trastevere. Fu il padre, trombettista, a iniziarlo alla musica in tenera età. «Quando il Duce annunciò la dichiarazione di guerra mia madre, che lo ascoltava alla radio, scoppiò in lacrime, e io con lei. Mio padre suonava la tromba. Non eravamo poveri, ma con la guerra arrivò la fame: i surrogati, il pane appiccicoso, la mollica che sembrava colla. Mio zio aveva una falegnameria, e io impolveratissimo andavo con il triciclo a prendere sacchi di trucioli per portarli dal fornaio: ogni dieci sacchi, un chilo di pane. Le notizie arrivavano come attutite. Al mattino studiavo al conservatorio, la sera suonavo la tromba per gli ufficiali tedeschi, riuniti in un locale di via Crispi, a ballare i valzer di Strauss con le ragazze romane. Un giorno in piazza Colonna incontrai un prete partigiano, don Paolo Pecoraro, che mi disse: tra poco ne sentirete delle belle. Seguì un botto. Era la bomba di via Rasella. Poi arrivarono gli americani, e suonavo per loro negli alberghi di via Cavour. Non ci davano soldi ma cibo – pane bianco, cioccolata, anche pietanze cucinate – e sigarette; io non fumavo, rivendevo le sigarette e portavo i soldi a casa».
• «Tra i 14 e i 16 anni, Ennio Morricone, d’estate, suonava con un gruppo al Florida, nei pressi di via del Tritone. Nel locale “c’era un clima un po’ da casa di tolleranza, sotto i tavoli succedevano cose sconce. Ogni tanto la polizia faceva una retata e una volta una delle ragazze, per non farsi arrestare, finse di essere la mia fidanzata, acchiappandomi e dandomi un bacio. Io, prima d’allora, non avevo mai baciato una donna. Ero sconvolto. Lei riuscì ad andarsene indisturbata”» [Leonetta Bentivoglio, Rep].
• Perse il fratellino Aldo quando questi aveva solo tre anni: «Come accadde? “Fu una morte assurda, provocata dall’insipienza di un medico. Aldo aveva mangiato delle ciliegie cadute da alcuni vasi. La sera prese a vomitare. Pensammo a un’influenza. Era estate e il nostro dottore di famiglia era in vacanza. Chiamammo il sostituto che sbagliò completamente la diagnosi […]. Morì per un enterocolite acuta, scambiata per un banale mal di pancia […]. Fu terribile, mio padre finì con l’accentuare il suo lato più severo. In contrasto netto con l’atteggiamento della mamma, la cui bontà assoluta era spesso fuori luogo. C’era un’esagerazione in entrambi i sensi che mi disorientava. Cercai sempre più rifugio nella musica» [ad Antonio Gnoli, Rep].
• «Per guadagnare, iniziai a fare i primi arrangiamenti musicali alla radio, poi un giorno mi chiamò Luciano Salce e realizzai le musiche del mio primo film. Il regista mi fece vedere il filmato e lo musicai. Quell’esperienza andò bene e per qualche anno collaborammo assieme. Poi vennero gli altri registi».
• Diploma in Tromba (nel 1946) e in Composizione (nel 1954, sotto la guida di Goffredo Petrassi) all’Accademia di Santa Cecilia.
• Nel 1965 entrò a far parte del Gruppo di improvvisazione Nuova Consonanza.
• Nomination all’Oscar per I giorni del cielo (Malick 1978), Mission (Joffe 1986), Gli Intoccabili (De Palma 1987), Bugsy (Levinson 1991), Malèna (Tornatore 2000), The Hateful Eight (Tarantino 2015, vinto); Leone d’oro alla carriera a Venezia nel 1995. Tra i film per cui ha composto la colonna sonora: Per un pugno di dollari, Per qualche dollaro in più, Il buono, il brutto il cattivo, C’era una volta il west, Giù la testa, C’era una volta in America (1964, 1965, 1966, 1968, 1971, 1984, tutti di Sergio Leone), Uccellacci e uccellini (Pasolini 1966), La battaglia di Algeri (Pontecorvo 1966), Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (Petri 1970), Novecento (B. Bertolucci 1976), Nuovo cinema Paradiso (Tornatore 1988).
• Dal 1946 a oggi ha scritto più di cento titoli di musica non da film.
• «Sergio Leone era dispettoso, spesso anche velenoso con i suoi colleghi. Nacque tutto con Per un pugno di dollari: voleva mettere nella scena finale, il duello tra Volonté e Eastwood, il popolare Deguello tratto dal film di Howard Hawks Un dollaro d’onore, con le musiche di Tiomkin. Gli dissi che non avrei più fatto il film: non si può togliere a un compositore la soddisfazione di fare una scena importante. Lui allora mi chiese una cosa simile al Deguello, cosa che mi guardai bene dal fare. Ripresi invece, a sua insaputa, una ninna nanna che avevo scritto qualche anno prima per i Drammi Marini di Eugene O’Neill per la tv. La feci sentire a Sergio facendogli credere che l’avevo scritta per l’occasione. Fu entusiasta. Qualche anno dopo glielo rivelai e lui trasformò questa cosa in una regola: mi invitò a fargli sempre ascoltare i temi che altri registi avevano criticato o scartato. Anche per C’era una volta in America utilizzai il tema d’un film che all’ultimo non avevo più fatto». «Ma è vero che da bambini eravate stati a scuola assieme, e che lo scopriste solo quando vi ritrovaste, trent’anni dopo, per la colonna sonora di Per un pugno di dollari? “Appena entrato la prima volta a casa mia – era il 1963 – glielo dissi. Non ci credeva. Allora gli mostrai la foto della terza elementare. C’eravamo tutti e due. Nacque subito un feeling”» [a Paolo Scotti].
• «Pasolini, con il quale ho collaborato in tutti i film tranne che in Medea, mi diceva: “Faccia quello che vuole”. Per questo non lo lasciai mai».
• «Ho paura dell’aereo, è uno dei motivi che non mi fa più lavorare per gli americani. E poi non sono un direttore d’orchestra e, infatti, al massimo dirigo Morricone. Quando salgo sul podio mi piace, ma il mio mestiere è comporre».
• Sua opera preferita: la Tosca di Puccini.
• «Ennio Morricone evita i set per i quali scrive la colonna sonora. Tre eccezioni: C’era una volta il west e C’era una volta in America solo per il primo ciak, La leggenda del pianista sull’oceano più a lungo perché doveva coordinare Tim Roth al pianoforte» [Antonella Amendola].
• Il 25 febbraio 2007, dopo cinque nomination senza esito, gli venne conferito l’Oscar alla carriera per «i suoi magnifici contributi all’arte della musica cinematografica». Gli consegnò la statuetta Clint Eastwood («Io certamente non sarei qui se ogni apparizione del mio Gringo nei western di Sergio Leone non fosse stata accompagnata dalle sue note suggestive»), che tradusse il suo discorso di ringraziamento dall’italiano all’inglese a tutta la platea.
• All’inizio di febbraio 2007 diresse per la prima volta in America: concerto nella sala dell’Assemblea generale dell’Onu, aperto da Voci dal silenzio, la suite nata dopo l’11 settembre («La dedica è dentro i suoni, e l’ho poi allargata a tutte le stragi della storia umana»), e poi al Radio City Music Hall di New York, «pubblico in piedi e standing ovation a ripetizione» (Gino Castaldo).
• Nel febbraio del 2016 è stato il tredicesimo italiano a ricevere una stella, la numero 2574, sulla Walk of Fame in Hollywood Boulevard, Los Angeles.
• Faceva ascoltare in anteprima la sua musica alla moglie: «È lei che giudica prima di tutti. Nel passato capitava che spesso i registi mi fregavano: di tutti i brani che proponevo sceglievano i più brutti. Ora non accade più. C’è mia moglie. Non ha una conoscenza tecnica della musica. Ma giudica come farebbe il pubblico. È severissima» (a Federica Lamberti Zanardi).
• La moglie, sposata il 13 ottobre 1956, si chiama Maria Travia. Ha dedicato a lei i due Oscar vinti: «È un atto di giustizia. Mentre io componevo lei si sacrificava per la famiglia e i nostri figli. Per cinquant’anni ci siamo visti pochissimo: o ero con l’orchestra o stavo chiuso nel mio studio a comporre. Nessuno poteva entrare in quella stanza tranne lei: il suo unico privilegio». Quattro figli, tre maschi e una femmina, uno solo, Andrea (Roma 10 ottobre 1964), s’è dato alla musica, Giovanni (1966) fa il regista, gli altri sono Marco (1957) e Alessandra (1961).
• Morto nel Campus Biomedico di Roma per le conseguenze di un’operazione chirurgica dovuta alla rottura del femore. «Ha conservato sino all’ultimo piena lucidità e grande dignità», ha fatto sapere la famiglia. I funerali si terranno in forma privata. Pochi giorni prima di morire Morricone si era scritto il necrologio, pubblicato oggi sui quotidiani:
«Io ENNIO MORRICONE sono morto. Lo annuncio così a tutti gli amici che mi sono stati sempre vicino e anche a quelli un po’ lontani che saluto con grande affetto. Impossibile nominarli tutti. Ma un ricordo particolare è per Peppuccio e Roberta, amici fraterni molto presenti in questi ultimi anni della nostra vita.
C’è una sola ragione che mi spinge a salutare tutti così e ad avere un funerale in forma privata: non voglio disturbare.
Saluto con tanto affetto Ines, Laura, Sara, Enzo e Norbert, per aver condiviso con me e la mia famiglia gran parte della mia vita.
Voglio ricordare con amore le mie sorelle Adriana, Maria, Franca e i loro cari e far sapere loro quanto gli ho voluto bene.
Un saluto pieno, intenso e profondo ai miei figli Marco, Alessandra, Andrea, Giovanni, mia nuora Monica, e ai miei nipoti Francesca, Valentina, Francesco e Luca.
Spero che comprendano quanto li ho amati.
Per ultima Maria (ma non ultima). A lei rinnovo l’amore straordinario che ci ha tenuto insieme e che mi dispiace abbandonare.
A Lei il più doloroso addio».
• Politica «Non ho mai parlato di politica in vita mia. Controlli negli archivi: non troverà una sola intervista al riguardo. Non mi schiero. Non milito. Faccio un altro mestiere […] Non sono mai stato comunista, né socialista. Sono cattolico, nella Prima Repubblica votavo democristiano. Del resto, Gesù per me è stato il primo comunista. Mi sento dalla parte dei poveri, anche se ho una bella casa; ma i soldi non li ho rubati. Ho ammirato De Gasperi. Ho condiviso il progetto di Moro di aggregare al centro le forze popolari. Avevo un’alta concezione di Craxi. E ho sempre stimato Andreotti: sono stato felice che sia stato assolto, e che abbia sempre rispettato i magistrati, a differenza di altri […] Della politica di oggi non mi piacciono gli insulti ai senatori a vita, e le calunnie contro Prodi». Eletto nella Costituente del Partito democratico: «A mia insaputa» [ad Aldo Cazzullo].
• Musica «Suono il pianoforte piuttosto male, ma ho sempre pensato che se il regista lo accetta così, quando lo avrò strumentato, con le suggestioni timbriche e l’orchestrazione gli piacerà ancora di più. Purtroppo con il regista si tratta di intendersi sempre e solo sul discorso tematico, trascurando quello che c’è attorno alla melodia, che secondo me è molto più importante».
• Vizi Ha investito tutto quello che ha guadagnato in un grande appartamento vicino all’Ara Coeli, in Roma, con le finestre che si affacciano sul Campidoglio. Mille metri quadri coperti: ogni mattina faceva footing facendo il giro completo di tutte le stanze.
• Appassionato di scacchi.
• Tifoso della Roma: «Quando andavamo allo stadio con Sergio Leone ricordo sempre il delirio, il parcheggio, l’entusiasmo della folla ma anche le file. Quanto alla mia prima volta allo stadio, ho un ricordo nitido. Andai a Campo Testaccio con mio padre, ero piccolo. Avevamo un posto in piedi dietro alla porta» [da un’intervista sul sito ufficiale della Roma].


Morricone

la Repubblica

Fragile, timido e potente, fisicamente somigliava a quel filo animato che in Fantasia (1940) è una colonna di luce: «Signore e signori», dice il presentatore nel capolavoro di Walt Disney, «ecco a voi la Colonna sonora, the Soundtrack». Ennio Morricone era il signor Soundtrack, una corda tesa con l’aria imbronciata e l’espressione severa del fuori posto, sempre a disagio con le parole — andate a rivederlo alla cerimonia dell’Oscar — , disturbato dalla retorica che sapeva inevitabile e implacabile soprattutto nei coccodrilli, nell’emozione collettiva della morte. «Lei non ha mai scritto un requiem, la musica per un funerale?» gli chiesi nell’estate del 2016. «No, mai». E il suo funerale, tra mille anni, come se lo immagina? «Ho dato disposizioni perché avvenga in forma assolutamente privata. Dopo, daranno la notizia: Morricone è morto». E quale colonna sonora vorrebbe? «Solo silenzio».
Di anni ne sono passati appena quattro e tutto è avvenuto come già allora il Maestro aveva stabilito, nel silenzio della musica che mai si avverte così distintamente come quando si è spenta l’ultima nota. «Uno dopo l’altro – ha scritto Theodor Adorno – gli strumenti tacciono. Resta solo la viola e le è permesso di spegnersi ma non di morire. Deve suonare per sempre; solo noi non la sentiamo più». Morricone commentò questo passo di Adorno con una confessione: «Io credo che la musica sia già tutta scritta, quella eseguita e quella ancora da eseguire. Si tratta solo di comporre e ricomporre: ma la musica è già tutta li». Capimmo, anche dall’emozione nella voce, che stava parlando di Dio: «È la Musica che sceglie le sue creature, i suoi compositori».
Dunque l’Italia ha perso l’uomo silenzioso che era convito di avere, al posto della testa, una scatola sonora: «A volte quando sono arrabbiato nasce dentro di me e diventa sempre più chiara e netta, una musica allegra, un trallallà che non c’entra nulla con il mio stato d’animo e all’inizio mi fa solo arrabbiare di più. Capisce l’effetto comico? E un po’ come il Wagner, la Cavalcata delle Valchirie, che usai nel film Il mio nome è Nessuno per ironizzare sull’arrivo di 150 sozzoni a cavallo. Scoprii così che nulla ha più grazia dell’eleganza che si produce da una goffaggine». Anche Coppola ha usato la Cavalcata delle valchirie in Apocalypse Now: «È vero, ma io l’ho fatto prima». Mai Ennio Morricone si sarebbe spinto a dire che Coppola lo aveva copiato. «Incontro registi che mi chiedono una musica alla Morricone: “maestro, può farmi tin-tintintirin- tin-tin come Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto?” Mi fa ridere questo genere di richiesta: se vogliono rifare Morricone non devono chiamare Morricone». Per quello bastano i morriconiani? «Basta riusare, ma senza coerenza, le mie vecchie musiche». Come ha fatto Tarantino in molti film, da Kill Bill a Bastardi senza gloria. Anche lui, per The Hateful Eight, si aspettava un Morricone alla Morricone «ma io gli ho fatto il contrario». E dopo aver premiato alla carriera il “vecchio” Morricone, diedero l’Oscar anche a quel “nuovo” Morricone.
Nel mondo solo Morricone non copiava Morricone. Abituati come siamo ai vecchi che si ripetono, il signor Soundtrack ammetteva che «invecchiare comporta qualche problema», ma aggiungeva con fierezza: «Io compongo, non ricopio me stesso». Tarantino lo capì subito quando ricevette la musica per The Hateful Eight e perciò lo paragonò a Mozart e a Beethoven. Ovviamente Morricone si schermì, disse che quello parlava per iperboli, che lo diceva per rendere omaggio al cinema. E però la musica con quel Cristo sulla neve non solo era così intensa e profonda che l’inizio conteneva e raccontava anche la fine del film, ma di nuovo cambiava completamente il genere western.
«Tarantino ha voluto, esageratamente, mettermi nell’Olimpo dei classici, visto che ha fatto un preciso riferimento a tutta la mia musica, anche a quella che non ho composto per il cinema. Ma di sicuro Tarantino pensa che il cinema è stato nel Novecento quello che nel Settecento e nell’Ottocento fu la lirica». E dunque la trilogia di Mozart – Le Nozze di FigaroCosì fan tutte e Don Giovanni – è come La trilogia del dollaro; e il Fidelio è come The Hateful Eight. Se Mozart fosse nato nel 1928 avrebbe composto colonne sonore. Mozart e Beethoven, che introdussero le disarmonie dei pianoforti e dei violini, avrebbero sicuramente approvato i rintocchi della campana quando Clint entra nel villaggio: «Arriva un suono che non ti aspetti e ti fa vedere un altro mondo». In fondo l’umile e il marginale del Flauto magico sono come la frusta e il coyote. E le voci del coro e dei solisti nella Nona sono come il crepitare della mitragliatrice e il fischio umano. «Oggi anche il cinema è in crisi. Non so se è ancora il linguaggio del tempo. Vedremo. Qualcosa sta accadendo. Tornatore, per esempio, lo sa e sta sperimentando. Usa la luce in modo molto speciale. E pensi al rapporto tra la luce e la musica». Ma Tornatore si intende di musica? «Sta migliorando». E Tarantino si intende di musica? «Non so, non credo». Un regista deve intendersi di musica? «La prima volta che Pasolini venne da me mi diede indicazioni molto precise, voleva per Uccellacci e uccellini Mozart e Bach. Gli dissi che per copiare poteva rivolgersi a qualcun altro. E si fidò. Un regista non deve essere un esperto di musica, deve fidarsi della musica».
Mamma mia, che uomo abbiamo perso! L’Italia chiacchierona rimuove il silenzio dalle agiografie dei grandi italiani perché lo considera come una punizione, il più affliggente dei castighi. E perciò dimentica che a Ennio Morricone spetta un posto d’onore non solo tra i nostri musicisti, Verdi, Puccini, Mascagni, Casella…, non solo tra questi grandissimi creatori del suono che è sempre italiano, anche nell’America di Sacco e Vanzetti che pur con la voce di Joan Baez, resta una ballata nostra, da cantastorie. Morricone era italiano pure nel Sud America di Mission, con quell’oboe tutto nostro nelle mani degli indios oltre che del prete missionario, Jeremy Irons, che solo suonando si conquista il diritto alla vita. E il canto corale italiano fu lo speciale Nabucco di Morricone nella colonna sonora del Mosè con Burt Lancaster.
Ecco, a Morricone spetta però anche un posto d’onore tra gli italiani così poco italiani, quelli del silenzio, che forse tra loro in nient’altro si somigliano, a cominciare da Alessandro Manzoni, balbuziente ma convulsivo alla morte dell’odiato-amato Napoleone vissuto tra due secoli: «ei fe’ silenzio e arbitro s’assise in mezzo a loro». È il Manzoni che poi sperimentò il silenzio di Dio e con Dio, il silenzio della preghiera che può essere una supplica muta ma anche un duello, un combattimento, un battibecco tra un povero sordo e un potentissimo muto.
Il silenzio di Morricone era, come dicevamo, il silenzio della musica che ovviamente non è la musica del silenzio. Morricone compose Il grande silenzio, che è la colonna sonora del film di Corbucci con Jean-Louis Trintignant e Klaus Kinski nel 1986, due anni dopo il dolente silenzio di Simon e Garfunkel che fu il seme germinativo dell’epoca del vietato vietare, The sound of silence, il suono del silenzio che like a cancer grows, cresce come un cancro: hello darkness, my old friend.
Il silenzio di Morricone era sempre impacciato ma non era nodoso e solitario come quello di Alcide De Gasperi che rispondeva con suoni gutturali. C’è dunque, affondato nell’Italia della chiacchiera, il silenzio di alcuni grandi italiani. Quello di Morricone non fu mai denso e impenetrabile come quello del banchiere Cuccia, somiglia di più al silenzio di Luigi Einaudi, fatto di distacco e di gentilezza, ma senza la sua freddezza. Anche il figlio, l’editore Giulio, era silenzioso. Come Morricone «rideva con gli occhi» scrisse Natalia Ginzburg. Giulio non capiva la musica ma gli piaceva John Cage: 4 minuti e 33 secondi di silenzio. Non è vero che il silenzio è irraggiungibile. Morricone sta lì, tra gli illustri impacciati, con l’auto-necrologio che è anche’esso un impacciato catalogo di affetti. Sta lì con i Sellerio, Bufalino, Consolo, Sciascia, Berlinguer e Mattarella, gli italiani fuori genere, i migliori italiani che sono sempre gli anti-italiani.
Rimane insoluto il quesito di sempre: è il cinema che si è servito di Morricone o è Morricone che si è servito del cinema? Morricone diceva che «la musica racconta tutto quello che non si vede» e alzava e agitava le mani per mostrare il dialogo tra immagini e suono, tra concreto e astratto: «un’amicizia che non avrà mai fine come tra la mano destra e la mano sinistra». E faceva passare una mano davanti all’altra: «Il colonnello Mortimer, Lee Van Cleef, è il marranzano». Poi metteva una mano dentro l’altra: «Il Monco, Clint Eastwood, è il flauto». E ancora le spingeva l’una contro l’altra: «Il carillon è l’Indio, Gian Maria Volonté». Le mani di Morricone erano straordinariamente eloquenti: «Ho scritto la musica di Novecento mentre guardavo il film, al buio». E prendeva il suo quaderno di appunti, chiudeva gli occhi e disegnava rivoletti neri e linee scure: scion, scion.

Francesco Merlo

Squaglio
«“A un certo punto Sergio Leone mi chiese “abbiamo tutto? Sei sicuro?”. Gli risposi “sì, certo, il montatore c’è, il direttore della fotografia c’è, il capo elettricista c’è, l’attrezzista c’è…” Leone insisteva, “manca uno”, e io niente, non capivo. Alla fine mi prese per mano: “Andiamo da quello che manca”. L’assente era Ennio Morricone e, poco dopo, Carlo Verdone se lo trovò davanti: “Mi ero completamente dimenticato del compositore, era il mio primo film, pensavo di prendere qualche musica di repertorio… Invece andammo a casa di Ennio, aprì lui, mi prese un accidente”.
Come andò l’incontro?
«Leone gli disse che ero un bravo ragazzo, che avrebbe prodotto il film insieme a Medusa e voleva una sua musica. Morricone stava per dire che era troppo impegnato, Leone lo bloccò, “ah Enniooo”, e poi mi chiese di raccontare il film. Ci misi due ore, secondo me Morricone non capì niente, non poteva seguire tutti quei personaggi, ognuno con una voce diversa. Chiese che gli mandassimo il copione, il giorno dopo mi convocò e mi fece i complimenti: “Ho intuito che nella storia c’è molta poesia, oltre alle risate”. Gli chiesi di esaltare quell’aspetto, 15 giorni dopo tornai a sentire i temi che aveva preparato. Mi squagliai, erano una meraviglia
Secondo lei perché Tarantino si è innamorato di Morricone?
«Ennio era diverso, aveva un’anima candida e insieme potente, non replicava il solito clichè del compositore americano, ossia il compositore che, quando deve fare un film con grande orchestrazione, si ispira al musicista italiano più venduto nel mondo, e cioè Ottorino Respighi, morto nel 1936. Ennio diceva che ancora oggi Respighi è quello che prende più diritti d’autore di tutti» [Carlo Verdone a Fulvia Caprara, Sta].

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