Cent’anni fa, la sera del 21 gennaio 1921, veniva proiettato per la prima volta IL MONELLO (The Kid), il misterioso progetto su cui CHARLIE CHAPLIN aveva lavorato per un anno e mezzo

Il Monello
di Alberto Anile Robinson

Cent’anni fa, la sera del 21 gennaio 1921, veniva proiettato per la prima volta Il monello (The Kid), il misterioso progetto su cui Charlie Chaplin aveva lavorato per un anno e mezzo. La première mondiale venne organizzata alla Carnegie Hall di New York dal National Board of Review, per raccogliere fondi a favore dell’infanzia.
L’idea del film era arrivata in un momento che sarebbe eufemistico definire difficile. Mentre cercava di affrancarsi dai produttori, mettendosi in proprio con studi tutti suoi, Chaplin era piombato in una crisi creativa spaventosa. Nel settembre 1918 aveva sposato con grande discrezione l’attrice diciassettenne Mildred Harris, che gli aveva detto di essere incinta; in realtà non aspettava nessun bambino ma nuove opportunità cinematografiche che la popolarità del marito le fornì puntualmente. Mildred rimase poi davvero incinta, ma il piccolo Norman venne alla luce malformato e visse solo tre giorni.
Tre settimane dopo, il 30 luglio 1919, Chaplin iniziava a girare un film chiamato The Waif, “il trovatello”, la storia di un vagabondo che trova un neonato abbandonato da una ragazza madre e lo alleva nella stamberga in cui vive. Non è necessario lo psicanalista per sospettare che la perdita del primo figlio c’entri in qualche modo; di sicuro nel film entrarono anche i ricordi di un giovanissimo Chaplin, cresciuto nei sobborghi più miseri di Londra, e trasferito a sette anni col fratello in un ospizio di mendicità.
Con un tale fardello di premesse autobiografiche, il film cominciò a dilatarsi oltre i canonici due rulli (venti minuti in totale). Chaplin tra l’altro sperimentava parecchio sul set, a macchina da presa funzionante, alla ricerca non solo di gag ma anche di una storia da sviluppare, e i tempi si allungarono. Per tenere buoni i finanziatori della First National, girò in un paio di settimane il breve Un giorno di vacanza, dopodiché la lavorazione del film, ormai intitolato Il monello, proseguì per mesi, coprotagonista Jackie Coogan, un prodigioso bimbo di quattro anni. «Charlie», ricorderà anni dopo Coogan, «portava dei baffetti crespi che si applicava con della colla liquida dall’odore piuttosto sgradevole. Trascorrevamo molto tempo sul set senza niente da fare, in attesa di un’idea, poi improvvisamente a Charlie veniva in mente qualcosa e spariva a truccarsi. Per me l’odore della colla significava che era arrivato il momento di mettersi al lavoro».
Le riprese si conclusero nell’agosto 1920, a un anno esatto dal primo ciak, dopo aver impressionato oltre cinquanta ore di pellicola (il film montato ne durerà una). Nel frattempo Mildred Harris aveva cominciato un tremendo tiremmolla per ottenere un proficuo accordo di divorzio, con velenosi botta e risposta sulle pagine di quotidiani e rotocalchi. I finanziatori del film cercarono di approfittare della situazione alleandosi con la donna; braccato sia da Mildred sia dalla First National, e paventando il sequestro dei negativi, Chaplin chiuse allora tutte le bobine dentro barattoli di caffè e sparì con i suoi assistenti dentro un alberghetto di Salt Lake City. Fu probabilmente il lavoro di montaggio più grottesco della storia del cinema. «Dovevamo scegliere fra circa duemila sequenze », scrisse Chaplin, «e benché fossero numerate ogni tanto se ne perdeva una e passavamo delle ore a cercarla sul letto, sotto il letto, nel bagno, finché non l’avevamo trovata». La pellicola era fra l’altro in nitrato, supporto altamente infiammabile e proibitissimo in luoghi pubblici: il montaggio fu effettuato così in doppia segretezza.
Dopo una preview organizzata in un cinemino di Salt Lake City, Chaplin e i suoi si spostarono al Ritz di New York. Sempre in incognito: per uscirne, una sera Chaplin arrivò a travestirsi da donna (le velette che si usavano all’epoca aiutavano) e finì a dormire in casa di un generoso taxista. Nel frattempo gli avvocati californiani arrivavano a un accordo sul divorzio e il giorno dopo Chaplin poté tornare serenamente all’aria aperta: affrontò gli executives della First National e fece vedere loro il film. Fu una livida anteprima, in cui i manager cercarono di negare la potenza emotiva del film per evitare ogni complimento, ma Chaplin riuscì a spuntare un accordo decente sulle percentuali da concedere.
La sera alla Carnegie Hall fu un trionfo: il giorno dopo, la critica tributò compatta il proprio entusiasmo e parlò subito di capolavoro. «Le recensioni dei miei film sono sempre state discordi», avrebbe detto il regista a fine carriera. «L’unico che è stato lodato da tutti è Il monello… e in quel caso esagerarono, chiamarono in causa addirittura Shakespeare. Bè, non era proprio così!».
Troppo modesto. Nelle liste dei film che hanno cambiato la storia del cinema figurano in genere Nascita di una nazione di Griffith (1915), Quarto potere (1941) di Welles, Roma città aperta (1945) di Rossellini, Fino all’ultimo respiro (1960) di Godard,  (1963) di Fellini. Con loro dovrebbero esserci anche quei «sei rulli di gioia», come li chiamò la pubblicità: Il monello non contiene innovazioni tecniche o rivoluzioni di linguaggio ma è il primo film che mescola equamente lacrime e risate, e il lungometraggio muto che ha raccolto in tutto il pianeta più applausi e incassi, guadagnandogli una popolarità la cui persistenza supera quella di alcuni dei titoli citati.
Il film più famoso della carriera di Chaplin è anche quello realizzato nel periodo più contrastato di un’esistenza tutta turbolenta. «Credo di essere soddisfatto della mia vita», disse qualche mese dopo l’anteprima alla Carnegie Hall. «Credo che se dovessi tornare indietro rifarei quello che ho fatto… solo di più. Lo farei con meno moderazione». Nel 1924, in effetti, sposò Lita Grey, conosciuta proprio sul set del Monello; all’epoca delle nozze aveva sedici anni ed era incinta. Fu un altro matrimonio infelice, dopo il quale Chaplin si sposò ancora due volte, prese in giro Hitler, venne chiamato “ebreo” e “comunista”, fu esiliato dagli Stati Uniti. Ebbe molti nuovi guai, insomma, da cui vennero fuori altri capolavori.Alberto Anil

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