SAINT OMER, di Alice Diop, con Kayije Kagame, Guslagie Malanga. Recensione in Stanze del Cinema

Stanze di Cinema

Saint Omer ***

L’esordio nel lungometraggio della quarantenne Alice Diop, documentarista di origini senegalesi, cresciuta nella problematica Cité des 3000, 15 km a nord est di Parigi, è una meditazione sul mito di Medea, un racconto processuale e una riflessione sulla maternità e sull’emigrazione, che apre vertigini di senso inconsuete nel recente cinema d’autore europeo.

La Diop sceglie una messa in scena essenziale, fatta di lunghissimi piani sequenza a camera fissa, che nel suo rigore trova una forza ipnotica e immersiva. Rotta la sacralità del campo/controcampo, il film si nutre di fuoricampi, di assenze, di reazioni mancate.

Saint Omer è ricchissimo, stratificato e comincia con le immagini crude del taglio dei capelli che la Duras inserisce in Hiroshima Mon Amour per raccontarci come la sublimazione poetica dell’arte riesca a trasformare la realtà più brutale.

Prosegue quindi col presentarci una delle due donne protagoniste di questa storia: Rama, professoressa universitaria di…

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